La
mia storia di insegnante comincia il 14 Novembre del 2006. Una sesta ora
nell’Istituto Magistrale San Benedetto di Conversano (BA), una lettura introduttiva
del Principe di Machiavelli, il vicepreside che nei corridoi mi aveva
rimproverato scambiandomi per un’alunna gironzolante. Avevo un incarico annuale
di sole quattro ore, e non mi sembrava
vero! Fino a pochi mesi prima ero stata una studentessa (alla SSIS, la
scuola di specializzazione abilitante, eravamo tornati letteralmente sui banchi
di scuola. Fra interrogazioni ed esami si trascorreva il tempo studiando,
scopiazzando, accettando supinamente i programmi che altri professori ci
avevano imposto) e ora, improvvisamente, mi si presentava l’opportunità di
essere dall’altra parte della cattedra, di scegliere, come fossi io lo chef, il
menù da servire ai commensali. Ricordo ancora l’incontenibile entusiasmo, più
forte della paura, più forte della timidezza, più forte del senso di
inadeguatezza. Avevo ventisette anni, un amore sconfinato per la letteratura e
l’intenzione chiara di trasmettere questa passione alle alunne.
Se ci sono
riuscita, fu merito loro. Era una classe solo femminile, ragazze belle fuori e
dentro, innamorate della scuola e della lettura. Fu un inizio facile, che mi
illuse.
L’anno
successivo iniziò per me una lunga trasferta. Accettai, ancora con grandi
riserve di entusiasmo, un incarico annuale per 18 ore al Liceo Scientifico
Tarantino di Gravina in Puglia (BA). Cercai, lo confesso, la città sulla carta
geografica, non avendo ben chiara nozione della distanza dal mio paese. Mi
trasferii sul posto sin da subito, comprendendo che il pendolarismo non avrebbe
giovato alla mia lucidità. Fui assegnata a due classi del triennio, una terza e
una quarta, alle quali avrei insegnato Italiano e Latino. E se la IV E mi accolse con calore e
buona propensione all’ascolto e al lavoro, la III si rivelò sin da subito un teatro di guerra.
Per la prima volta mi scontrai con la mancanza di motivazione - quest’orrenda
piaga che ammorba lezioni che noi insegnanti sogniamo partecipate e magistrali! - l’atteggiamento contestativo, la difficoltà di comunicazione con le
famiglie, l’organizzazione perfetta e talvolta geniale con cui riuscivano a
copiare, l’interesse mostrato alle partite di calcio, ai marchi modaioli, al
cantante neomelodico che aborrivo, alle trasmissioni demenziali - giammai alle
poesie che, irriducibile, proponevo, giammai ai libri che mi ostinavo a
prestare, ai cantautori che facevo ascoltare. Si parlavano lingue diverse, io
declamavo Dante, loro sbuffavano senza ritegno.
La mia formazione di insegnante
è nata lì. Come si dice dozzinalmente, mi sono fatta le ossa. E quando, due
anni dopo, quegli stessi alunni si sono innamorati di Leopardi ho capito che
per costruire ci vuole pazienza, ci vogliono buoni materiali, ma anche un
design d’avanguardia. Che proporre una casa in stile vittoriano alla generazione
2.0 significa meritarsi una pernacchia.
L’incarico
al Liceo di Gravina era destinato a ripetersi nei sei anni successivi.
Licenziata a Giugno, come da contratto, tornavo ogni anno a Settembre.
All’inizio perché non avevo scelta, poi perché mi sentivo parte di quella
comunità e cominciavo a mettervi radici. Ho avuto la possibilità di seguire fino alla fine tutte le classi che, di volta in volta, si affacciavano al
triennio. Ho condotto tutte le terze all’Esame di Stato, sono cresciuta insieme
a loro. Sono stata membro esterno per due volte e per quattro membro interno.
Ho ascoltato centinaia di tesine, collegamenti più o meno balzani, ho condiviso l’ansia di conoscere le tracce
degli scritti, ho provato diffidenza e fiducia di fronte a colloqui d’esame
imprevedibili, mai scontati. Sono stata severa, seria, qualche volta ho sbagliato, qualche volta sono stata fiera di loro e di me.
Quando
tutto sembrava finito e definito, un concorso vinto mi ha nuovamente rimesso in
viaggio.
Sono
approdata alla scuola media Aosta di Martina Franca (TA).
Correva
l’anno 2013-2014. Era tempo di ricominciare. Con un ruolo tra le mani. E la precarietà sempre cucita addosso.
Cambiare
ordine di scuola, materie d’insegnamento, colleghi e abitudini, percepirsi come
una novellina è stata una nuova sfida, molto dura. Un bagno di umiltà. Segno della flessibilità che i tempi
moderni raccomandano (impongono!), l’esperienza appena conclusa mi ha insegnato che
non è bene cullarsi su quanto si è già ottenuto, semmai è necessario sfruttare
tutte le competenze accumulate per affrontare nuovi scenari, per acquisire
nuovi saperi, nuove abilità.
È
stata, questa, una lezione d’apertura e di autocritica, oltre che l’incontro
magico con la I F,
venti ragazzini con un piede ancora nell’infanzia e un altro timidamente
proteso verso l’adolescenza, riserva traboccante di immaginazione e fantasia
non ancora prosciugate, rosa di potenzialità da curare. Alla I F devo il
bagaglio più grosso di aneddoti e di emozioni che porterò con me, chissà se lo immaginano....
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