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Nottola di Minerva o gufo anti-sfiga? La Scolastica, nel suo bagaglio, se li porta entrambi.

martedì 22 luglio 2014

Le derive della comunicazione e il pensiero critico

Come si può insegnare a un adolescente il pensiero critico? Non con una ricetta.
E infatti non presento qui elenchi puntati e soluzioni. Presento problemi.
Romano Luperini, qualche anno fa, suggeriva di realizzare in classe una comunità ermeneutica[1]. Non so perché, ma questa idea mi ha sempre affascinato. Di fronte a un testo anche molto antico, bisognerebbe sempre e comunque cercare uno spunto di attualizzazione. Con questa operazione non si intende, certo, manipolare il senso di un’opera leggendola “come piace a me”, ma trovare l’intersezione tra essa e la mia vita di ragazzo, di adulto, di genitore o prof. E se non c’è, capirne il motivo, istituire un confronto. Rifiutare un classico si può, ma solo dopo averne compreso il messaggio e averlo considerato altro rispetto ai propri valori, al proprio punto di vista… non certo rispetto alla propria opinione, volatile surrogato del punto di vista, frutto di mode e impulsi.
Pensiamo alle nostre esperienze all’Esame di Stato, al senso di frustrazione provato di fronte a slogan memorizzati e non appresi, non discussi, non sottoposti al vaglio della prova. Spesso puntiamo al minimo come insegnanti (- purché parli!!), ci limitiamo consapevoli di limitarci. Ma di chi sono questi limiti? Degli alunni? Nostri? Della scuola così come la stanno riducendo? Della società tutta? La tentazione che ho è di rispondere: la terza e la quarta. È colpa loro, io non c’entro.
Sulle altrui responsabilità si può fare poco, però. Io cerco soluzioni che mettano in gioco, in primo luogo, la mia professionalità e la mia responsabilità di docente, perciò mi piacerebbe confrontarmi con altri colleghi di ogni specializzazione e livello.
Certo, se si taglia sulla filosofia io mi preoccupo, ma anche sulla storia dell’arte, sulla musica, sul diritto, su un INTERO anno di scuola! Se si taglia sulla scuola mi preoccupo. Perché i tempi di formazione del pensiero critico non solo quelli lampo con cui esce il nuovo modello di smart-phone. E neppure quelli con cui nascono e muoiono le band giovanili. O con cui cambiano i governi.



Siamo nel mezzo di un costante flusso di notizie e informazioni che i media tradizionali e i nuovi media veicolano giorno e notte, simultaneamente. Di fronte a questo scenario la scuola non può restare inerte, ma deve formare i ragazzi, oggi più che mai, alla lettura critica. 
Saper leggere e attribuire un senso al testo può sembrare operazione ovvia, ma di fatto il diffuso analfabetismo di ritorno dimostra come tale capacità si stia riducendo persino tra i professionisti. Riuscire a dare una interpretazione al testo e poi esercitarvi una critica diventa fondamentale per non ritrovarsi inermi di fronte al bombardamento di notizie, spesso tutt'altro che neutre, cui siamo sottoposti. 
I giovani nelle scuole devono assumere consapevolezza dei meccanismi della comunicazione, soprattutto dei loro aspetti inconsci e sotterranei. Non è casuale, per esempio, che la multimedialità più che notizie, diffonda emozioni sfruttando con sapienza l'emotività, la suscettibilità collettiva. L'emotività infatti si attiva nell'immediatezza, lasciando pertanto estromessa la ragione critica che presuppone distanza e distacco. 
Quando controllo la sequenza di notizie che scorre sulla mia Home-page di Facebook o di Twitter con frequenza impressionante mi imbatto in notizie scientificamente infondate, sparate a salve con toni messianici o complottisti, bufale più o meno evidenti che si mescolano ad articoli seri, di peso (e comunque in formato pillola), finiti chissà come nel calderone Social. E a postare questo amalgama imbarazzante di fandonie e fallacie siamo anche noi adulti.


Coloro che controllano i media sono oggi i veri detentori del potere (lo sappiamo!); essi padroneggiano i flussi delle informazioni esercitando un’ influenza capillare, scarsamente arginabile. Le facoltà che si occupano di comunicazione e marketing suscitano da un po’ di anni una grande attrazione presso i giovani alle prese con l’orientamento post-scolastico. Eppure, a scuola, la comunicazione è snobbata, è fuori dall’interesse della didattica; i nostri alunni sono, perciò, lasciati in balia di quanti tali meccanismi li dominano.
Al di là dei ragionamenti iperbolici e degli scenari apocalittici che ogni tanto qualcuno addita (infastidendoci…), la via di fuga è data dalla critica, dalla capacità di giudizio cui una accurata formazione dovrebbe puntare. È necessario limitare il potere dei manipolatori professione, di quanti sanno orientare l'opinione pubblica, diffondere mode e tendenze, appiattendo i punti di vista e la divergenza. E per una volta, voglio pensare in grande e presumere che sia questo il mio compito di insegnante.
Come?
Non è semplice nemmeno per me - conformista piuttosto spesso-  esercitare l'arte della divergenza, perché essa produce negli uomini, predisposti per natura alla aggregazione e alla condivisione, un senso di disorientamento e di vulnerabilità. E se ciò è vero per gli adulti, ancor più appare tra gli adolescenti, maggiormente esposti ai rischi dell’omologazione a causa della loro continua ricerca di punti di riferimento. I ragazzi tendono, infatti, a condividere atteggiamenti, stili, abitudini, linguaggi, modi di sentire e di vedere. Il pericolo nasce da quanti sanno sfruttare abilmente questi bisogni. Meccanismi psicologici precisi possono orientarli e suggestionarli senza che se ne accorgano. 
Di qui la necessità di puntare l'attenzione sulla meta- comunicazione, una sfida che la scuola deve accogliere al più presto, senza snobismi di sorta.
E deve puntare sulla creatività, altra parolaccia che suscita in molti di noi l’orticaria. Se non richiedesse rigore, metodo e sacrificio (di gramsciana memoria) la scuola rischierebbe di diventare sempre più lo zimbello della cultura, se non impererà ad accettare e ad allenare alla divergenza, l’istruzione si limiterà alla perpetuazione di auctoritates libresche malamente assorbite, agli assiomi indiscutibili non tanto per statuto, quanto per pigrizia, all’applicazione di regole….insomma a tutta quella patina grigiastra di imparaticcio che molti si scrollano di dosso una volta fuori, gettando dalla finestra indistintamente tutto quanto hanno appreso a scuola (l’inezia e il sublime, il cavillo e la scintilla, il fondamento e l’ammennicolo).

Dunque, meta-comunicazione, creatività, critica, divergenza = sfida, ambizione, traguardo.
A questo scopo non possono concorrere solo i docenti di lettere, come spesso accade, solo perché lo consentono alcuni spiragli del programma da svolgere (eh sì, i programmi esistono ancora, domandatelo ai commissari dell’Esame di Stato quando, nel fatidico Documento del 15 maggio, non trovano qualche contenuto, a loro dire imprescindibile!!). A loro spetta il compito di rilanciare la lettura e l'amore per la lettura, il testo, l'ermeneutica come chiave per l'esercizio critico, ma da soli rischierebbero di chiudersi alla modernità demonizzandola o mitizzandola. È necessario, quindi, anche l'apporto dei docenti delle discipline non umanistiche e di chi non si occupa di scuola ma di ricerca: essi hanno il compito (dovere!) di divulgare le loro scoperte, di spiegare il funzionamento delle macchine e degli strumenti (ormai sempre più sofisticati) che costituiscono la cifra e il paesaggio della nostra quotidianità e di fronte alle quali ci limitiamo ad essere passivi fruitori ignorandone del tutto le strutture e i meccanismi. Anche a loro si chiede di uscire dalla roccaforte dei laboratori e di acquisire una vocazione multidisciplinare. Fondendo i saperi si educano cittadini consapevoli, capaci di rispondere efficacemente all'attacco dei manipolatori, sia che lavorino per il mercato, sia che lavorino per la politica, sia che lavorino per narcisistiche pulsioni di auto-affermazione.




[1] ultima edizione: Insegnare letteratura oggi, Romano Luperini, Lecce, Manni editore 2013

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