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Nottola di Minerva o gufo anti-sfiga? La Scolastica, nel suo bagaglio, se li porta entrambi.

mercoledì 2 luglio 2014

Come nasce un giovane lettore



"Un libro che ha interessato ed emozionato un giovane lettore non è mai solamente qualcosa che ha imparato, ma si trasforma in un patrimonio identitario perché diviene suo, e grazie alla capacità di criticarlo e ri-raccontarlo egli, insieme alla storia, presenta se stesso perché chi conosce e apprezza un testo lo usa come espediente comparativo e associativo di comprensione e di giudizio."
Ho trascritto questa frase qualche anno fa in un taccuino, scioccamente, senza  annotarne il riferimento bibliografico preciso, tutta presa com'’ero dall’'entusiasmo di condividerlo, di farlo mio.
Lo ritrovo oggi e subito incomincio a pensare… ai miei alunni.  Mi domando se, in questi anni, io, lettrice compulsiva e prof. logorroica di Italiano, sia riuscita a creare un incontro speciale tra qualcuno dei miei studenti e un libro, fra quelli suggeriti, citati per caso, prestati, perduti, dedicati, lodati, esecrati, letti in classe collettivamente o a casa in solitario. Non so dirlo, ma so che molti di loro sono diventati lettori e perciò, suppongo, che a un certo punto, terminata una lettura, ci sia stato il momento in cui si siano detti: “ "Ne voglio ancora!”"
Dal canto mio, non ho mai imposto una lettura, un romanzo, un poeta, riduzioni per ragazzi o opere edificanti - nemmeno quando i genitori me lo chiedevano esplicitamente. Non ho mai assegnato riassunti, recensioni obbligatorie, esercizi.

l'infinito disordine della lettura compulsiva
La lettura è una cosa seria, non è una prova INVALSI. Al più, ho chiesto loro un giudizio o quale autore avrebbero consigliato ai compagni, a chi e perché. Ho suggerito titoli, ho mostrato spesso i romanzi che stavo leggendo a scuola, li ho messi sulla cattedra con i loro segnalibri a vista, spesso ho lasciato che liberamente i miei alunni si incuriosissero di fronte a titoli strani o copertine sgargianti, e mi facessero domande. Ho fatto circolare romanzi presi in prestito, stabilendo turni e trasformando la visita in biblioteca in un appuntamento (atteso, se non altro per la passeggiata!) del giovedì. Li ho messi in palio come premio per attività ludico/didattiche a cui le mie classi hanno partecipato.
Andando indietro nel tempo, nel corso della mia esperienza in Secondaria di Secondo Grado, non ho mai perso un incontro con l’'autore, un progetto lettura -  prima di tutto come lettrice, poi come docente. Lettrice fra lettori, ho discusso con i miei alunni che, talvolta, apprezzavano autori che io non gradivo e viceversa.
Progetto Lettura "Spesso chi Legge", Liceo Tarantino, Gravina in Puglia,
incontro con Andrea Molesini 17/03/2012.
Il fatto è che un libro, suo malgrado, è sempre un potente strumento cognitivo. E avvicinarlo ai giovani era così importante che non si potevano commettere errori grossolani, come una somministrazione a mo’' di medicina o una gara del chi finisse prima o di chi ne avesse esposto meglio la trama. Perché i ragazzi avrebbero scelto la scorciatoia: il bignami, il riassunto in rete, tutto fuorché la lettura integrale, diretta. Volevo invece che spuntassero quanti non avrebbero potuto fare a meno di sottolineare un passo per sentirlo proprio, di scribacchiare delle frasi proprie a margine, di desiderarne uno nuovo come regalo. Volevo che sentissero il bisogno di leggere dei passi ad alta voce, che mettessero in moto pensieri nuovi e imprevisti, che nascessero delle domande, dei confronti tra la propria storia e quelle narrate, che fossero lenti, non per pigrizia o “mancanza di tempo” ma per assaporare meglio scritture e fantasie.
Ho messo davanti ai loro occhi la mia esperienza di lettrice e le mie emozioni. Prima di tutto per condividerle, poi per aiutare quanti avrebbero voluto farle proprie. Qualche volta è andata bene. Qualche altra benissimo.

Come nasce un lettore
Si parte da una storia, che in genere racconto in classe. Il romanzo del cuore, il primo.  Agli alunni formulo una richiesta precisa (e qui la giro a voi docenti!)
Vorrei invitarvi, se ne avrete tempo e voglia, a raccontare quale sia stato un libro che nella vostra infanzia o adolescenza abbia rappresentato un punto di riferimento per voi e per il vostro immaginario. Bastano anche poche parole. Io lo faccio qui di seguito. Mettere in comune esperienze crea vicinanza. La narrazione è, poi, già in sé un piccolo passo verso il libro.
L’'esempio, tra i tanti, che potrei citare è “Alice nel paese delle meraviglie” che ho conosciuto, dapprima, nella dimensione dineyana di cartone animato un po'’ edulcorato e, poi, nell’'originale di Lewis Carroll. 


La passione mai discussa nei confronti di questo classico si esprimeva, non solo nella continua ricerca di nuove edizioni, ma anche nei giochi di simulazione, nelle prove di riscrittura, nelle continue drammatizzazioni che mettevo in atto con le amiche, i cugini o anche da sola.
L’'aspetto che più mi affascinava era quello delle metamorfosi, l’idea che bastasse mangiare o bere qualcosa per cambiare aspetto o dimensione. Mi piaceva il senso di mistero che aleggiava intorno agli oggetti e mi piaceva l’'aria furbesca delle etichette che esibivano i loro  “mangiami!” o “bevimi”!: mi sembravano al contempo pericolosi e suadenti inviti alla trasgressione. Attribuivo a quelle boccette l’'odore di canfora che sentivo attorno ai vecchi cosmetici di mia nonna, mescolati ai flaconi di medicine mezzo vuotate e tutte a me interdette, che talora maneggiavo di nascosto.
Ancora più affascinante era l'idea del labirinto. Amavo fissare per ore una illustrazione in cui la bionda Alice restava perplessa e vagamente spaventata di fronte a un bosco rigoglioso, illuminato dalla luce della luna, il cui spicchio, così ben disegnato, era in realtà il sorriso di un gatto beffardo. Sul tronco degli alberi che si perdevano nella notturna prospettiva, si moltiplicavano cartelli d’i ogni dimensione e colore, con indicazioni confuse: “Di qui”, “Di là”, “Laggiù”, “Da quella parte” e così via. Mi emozionava il mistero che la parola scritta sapeva evocare, soprattutto perché al contempo vaga e perentoria. Provavo a fingere nella mente ciascuna di quelle direzioni, a immaginare che la protagonista scegliesse sentieri diversi da quelli imposti dalla storia e quindi facesse nuovi incontri e vivesse nuove avventure. Così non solo potevo sostituirmi a lei, ma anche e soprattutto al suo creatore. Dilatavo la storia oltre i suoi confini, in modo che non finisse mai (suggestione che mi fece poi impazzire con “La storia infinita” di M.Ende)
Il romanzo di Carroll è stato un potente strumento cognitivo per me: ha stimolato la fantasia, le capacità narrative, la capacità di passare rapidamente dal linguaggio letterario a quello iconico a quello fotografico, ha arricchito il mio lessico.
Tuttora provo un certo stordimento davanti alla parola MENSOLA, incontrata per la prima volta nel romanzo e in una illustrazione in cui Alice, cadendo dolcemente nel vuoto nella tana del coniglio, si sporgeva ad osservare le mensole su cui ordinatamente erano stipati degli oggetti, tra cui un barattolo di marmellata d'’arance. Così, con altrettanto stupore, io cercavo mensole dappertutto: a casa mia ve ne erano alcune nel bagno e mi piacevano molto perché erano di vetro verde. Ne trovavo qualcuna a casa di mia nonna, di legno e piene di immaginette di santi e madonne; bianche laccate, nella cameretta di una mia compagna di scuola. Le mensole assumevano ai miei occhi un valore fantastico, quasi fossero un ritaglio di meraviglioso nella mia realtà quotidiana, e forse, mi aspettavo anch’'io di trovarvi un vasetto di marmellata d’'arance pronto a trasformarmi in qualcosa di diverso. Stessa fascinazione da parte di altre parole: SONAGLIO, MERIGGIO, SCACCHIERA, MELASSA, BURRO. Ciascuna di esse, si caricava di molti più significati di quelli riportati dal dizionario. Mi apriva la mente, mi metteva in moto pensieri e fantasie.
Ho apprezzato le filastrocche e i giochi di parole, presenti nel testo, solo crescendo. Per capire i non- sense ho dovuto diventare adulta. Essi solleticavano curiosità e bisogni nuovi: giocare con la lingua, con la logica, con le parole della tradizione mandate a memoria. Nelle edizioni tradotte di cui ero in possesso si giocava con alcune poesie di Pascoli e Carducci, scelte fra quelle più fastidiose nella loro musicalità da filastrocche. Dalla lettura in lingua originale ho ricavato, invece, la parodia a poesie che purtroppo non conoscevo e che mi era difficile apprezzare.
Un articolo apparso qualche anno fa sul Venerdì di Repubblica, contemporaneamente all’'uscita del film di Tim Burton, diceva che Alice e il suo mondo bizzarro suscitano da sempre una antipatia innata nei bambini, che in genere non amano questo classico, perché la protagonista rappresenterebbe il principio regolatore e ordinatore che si muove attraverso la follia senza mai perdere l’'equilibrio, senza mai lasciarsi sedurre. Allo stesso modo gli altri personaggi susciterebbero diffidenza perché, con i loro giochi verbali e la loro logica capovolta, rappresentano il costante pericolo di impazzire, di perdersi nei meandri dell’'irrazionale. L'’articolo metteva, inoltre, in evidenza una continua e gratuita crudeltà serpeggiante pressoché in tutti gli episodi, ma non me ne accorgevo, in verità, abituata, com’e ero, al sadismo di ben altre storie che i cartoni animati e le fiabe classiche ci propinavano.
Ho trovato, tuttavia, interessante l'analisi dell'articolista e mi sono accorta che esiste una certa corrispondenza fra quello che Alice rappresenta e il contenuto di alcuni sogni ricorrenti che facevo soprattutto negli anni dal passaggio dall’' adolescenza all’'età adulta. In particolare, il labirinto, l’'esplorazione di mondi tortuosi e senza via d’uscita, con atteggiamento di curiosità e di angoscia. Proprio come Alice, poiché alla fine il suo mondo di fantasia, all’'apice del pericolo, si rivela essere solo un brutto sogno.
Resta, tuttavia, il fascino profondo che l’'opera continua a suscitare in quanto immagine precisa della mia infanzia.

E adesso tocca a voi!

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