Certo, c'è l'anno di prova. E Venerdì 27 sarò giudicata. In attesa del verdetto, con un piede ancora sul baratro di quella precarietà che nemmeno un contratto a tempo indeterminato riuscirà tanto presto a scucirmi di dosso, pubblico la premessa alla mia relazione finale.
Nelle intenzioni, avrebbe dovuto essere un resoconto formale ma, come al solito, sbagliando registro, eludendo la traccia-le aspettative-il senno l'ho trasformata in un rigurgito autobiografico grondante narcisismo, e tuttavia autentico, perché non so copiare e non voglio -non l'ho mai fatto nemmeno a scuola.
Non è mia intenzione fare di questo blog un diario personale, sia chiaro, non sempre almeno. Si consideri questo post la mia presentazione, qualche parola per dirvi chi sono. Poi ci sarà solo la Scolatica, non la severa e rigorosa filosofia medievale, ma il rutilante mondo della scuola 2.0.
Bene, e ora bacchettatemi pure.
Jan Steen, A scuola |
"Una
relazione finale è sempre un bilancio. Si soppesano successi e sconfitte, si
raccolgono cocci e allori. E quand’anche piccoli rimpianti e diffuse stanchezze
offuschino per un attimo gli obiettivi raggiunti, resta sempre una
soddisfazione grande alla fine di tutto, un senso di pienezza che è dato dalla
conclusione, dalla costruzione innalzata a fatica che ci soddisfa e
inorgoglisce, dal traguardo che è segno indiscutibile di vittoria, malgrado
prove e inevitabili errori. Nella vita di ogni insegnante la fine dell’anno scolastico è così, è la tappa
raggiunta, un punto fermo, una sorta di maturazione che, come ben sa il
corridore di una staffetta, non può dirsi mai del tutto esaurita, mai
definitiva.
L’insegnate non smette di formarsi, non conclude. Non smette di
mettersi in discussione. Non cessa di ridisegnarsi e ridisegnare le proprie
convinzioni. Raggiunge una meta e già si prepara alla successiva.
Quando
ho sentito per la prima volta che questo sarebbe stato un anno di formazione ho corrugato la fronte. Supponenza e pigrizia
ci fanno pensare che sia superfluo seguire corsi di aggiornamento; pressapochismo
e faciloneria suggeriscono che, in fondo, basti un po’ di esperienza in campo;
il sentito di dire, la communis opinio
danno poi il colpo di grazia: nella scuola tutto cambia (etichette, parole,
slogan, paradigmi) perché tutto resti uguale, quindi sembra inutile studiare
l’ennesima circolare ministeriale o le nuove indicazioni o quanto la solerte e
prolifica inventiva del Ministero abbia diffuso. Poi però si entra in classe e
ci si misura col multiforme, complesso, affascinante mondo delle nuove
generazioni, ci si immerge in una sfida che non si può sottovalutare perché
composta di problemi e di urgenze fatte di carne e sogni, di occhi e mani, di
intelligenze e paure, e ci si ritrova sprovvisti di adeguato equipaggiamento.
Allora sì, che nel profondo, si matura un bisogno autentico di formazione e la
si cerca. Questa è pure la mia storia.
Non
basterà un anno di formazione. Chi mi ha preceduto lo sa.
Insegnando non si
cessa mai di imparare e si impara a tutto campo: dai dirigenti, dai colleghi,
dai collaboratori, dalle piattaforme, dai documenti ufficiali, dalle riviste
specializzate, dalle famiglie, dalla Rete, forse anche dai pranzi improvvisati
tra colleghi, in attesa di un collegio o di un incontro di dipartimento.
Soprattutto, però, si impara dagli studenti. Dall’alunno che fischia quando tu
parli e fischia più forte quando tu più forte urli, all’alunno che marcia
trionfalmente nei corridoi mentre cerchi perentoriamente di indurlo a
rientrare; dall’alunna preoccupata per un brufolo sulla fronte che si regge un
ciuffo di capelli con le mani per coprire il bozzo mentre tu la interroghi sui
mari d’Europa e lei resta in equilibrio precario e disperato tra due emergenze
altrettanto allarmanti, all’alunno che smanetta con il tablet alla velocità
della luce e ti insegna come avviare in fretta un programma sulla LIM;
dall’alunno che alza la mano e ti fa la domanda intelligente che aspettavi
da giorni, all’alunno che alza la mano e ti fa la domanda geniale che ti
spiazza - e ti commuove.
A tutto
questo non ero pronta. Ho assorbito come una spugna ciò che l’anno di prova mi ha offerto. Un bagno di umiltà, un' apertura all'accoglienza senza sconti, un esame che è facilissimo fallire"
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