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Nottola di Minerva o gufo anti-sfiga? La Scolastica, nel suo bagaglio, se li porta entrambi.

domenica 29 giugno 2014

La memoria al tempo dei Social

Gli insegnanti si confrontano spesso con la memoria. Per lungo tempo la stessa attività di insegnamento è stata concepita come pura trasmissione di un'eredità culturale che muoveva dal passato. Oggi, a scuola e nella società, la memoria ha assunto significati diversi. 
Celebriamo una o più Giornate della Memoria. Organizziamo viaggi di istruzione sui luoghi della memoria. Cerchiamo memorie e testimonianze di mestieri, giochi, abitudini perdute. Innalziamo monumenti. Affiggiamo targhe. Dedichiamo aule magne e biblioteche. Sembriamo sempre molto impegnati in un sforzo di conservazione del passato, di celebrazione, di salvataggio. 
Eppure la memoria sembra costantemente sotto assedio. 
Provo qui di seguito ad analizzare il rapporto tra memoria e società, memoria e scuola, memoria e social media.

1. La memoria è altruista e presuntuosa.
La memoria è un insieme di ricordi. Può essere vissuta interiormente o condivisa. Si parla di memoria collettiva quando si sommano i ricordi e le testimonianze di chi ha partecipato a un evento, vissuto la stessa epoca  o anche solo un intervallo di tempo comunemente reputato significativo.
La memoria umana è labile, frammentaria, soggetta a deterioramento e deformazioni. Allo scopo di preservarla, l’uomo si è servito da sempre di opere scritte, di opere materiali, di opere d’arte e monumenti in senso lato. L’esigenza di lasciare ai posteri tali segni è sempre nata dalla voglia di preservare il ricordo di un evento che si giudicava importante o capace di dare insegnamento a quelli che sarebbero venuti dopo.
La memoria, infatti, è altruista (dà insegnamenti) e presuntuosa (ritiene di poterlo fare). La memoria non è la storia, non nasce dalla selezione e dalla interrogazione delle fonti, dal confronto e dalla critica, è filtrata dalle emozioni, dalle ideologie, dalla cultura personale. La memoria può essere onesta e contemporaneamente poco attendibile. Non è un processo completamente razionale.
In passato, si attribuiva ad essa un’ importanza ben maggiore di quanto non accada ai giorni nostri. Di generazione in generazione, si trasmettevano valori, storie, miti, favole, nozioni, pratiche, saperi, per dirla in una parola, cultura. Col tempo, però, il bisogno di innovazione e l’accelerazione prodotta dal progresso tecnologico-scientifico ha determinato un atteggiamento di maggiore indipendenza dai codici del passato e se, in molti casi, ciò ha significato il superamento di pregiudizi e il raggiungimento di maturità intellettuale (si pensi alla battaglia illuminista contro il principio di autorità), purtroppo, altrettanto di frequente, questo atteggiamento ha significato disinteresse tuout-court per il passato e disprezzo per il bagaglio memoriale ed esperienziale delle generazioni precedenti. Caso limite e incendiario è stato rappresentato dai futuristi il cui programma dichiarava senza giri di parole: " Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, accademie di ogni specie". Anche adesso da più parti si rileva come, per esempio, le nuove generazioni siano così proiettate verso il futuro da dimenticare o svalutare il passato, che resta spesso uno sconosciuto sopratutto quando è assai recente. 

2. I luoghi della memoria: spunti didattici e problemi.


Avendo preso atto che è in pericolo la nostra stessa capacità di ricordare, sono nate oggi diverse iniziative che hanno come fine quello di preservare la memoria. Persino nel palinsesto televisivo, arricchito dai nuovi canali digitali, si nota una presenza discreta, ma costante, di canali dedicati alla memoria: archivi televisivi da cui riemergono trasmissioni, sceneggiati, caroselli, testimonianze di epoche non troppo lontane e perciò meno conosciute da un quindicenne di quanto non lo siano (FORSE) l’impero romano o l’età comunale.
Fra le numerose iniziative, oggi presenti in Europa, spicca l’allestimento dei luoghi della memoria, l’organizzazione della Giornata della Memoria per le vittime della Shoah, cui si stanno affiancando molte altre giornate commemorative di altre vittime e di altre tragedie. Si cercano i testimoni e si organizzano spazi e momenti per favorire il racconto e la condivisione col pubblico dell’esperienza da preservare. Tali iniziative non si ineriscono solo in contesti didattici, il loro valore educativo si esplica nei confronti di tutta la comunità, al punto che, negli anni, si è sviluppato un vero e proprio “turismo memoriale”, vissuto, tuttavia, piuttosto superficialmente.
I luoghi della memoria non sono sempre luoghi veri e propri, in senso materiale, spesso sono delle ricorrenze (la Giornata della Memoria) o opere letterarie in cui si condensa la memoria di un popolo. Essi servono a incrociare memorie spesso antagoniste (si pensi ai luoghi che sono stato teatro della Seconda Guerra mondiale) e conflittuali: per esempio, la memoria della comunità locale in contrapposizione alla memoria ufficiale. Tali luoghi raccolgono testimonianze di vario tipo il cui scopo primario non consiste nel rivolgersi agli storici di professione per una ricostruzione storiografica rigorosa, quanto nel supportare la memoria dell’uomo comune, attraverso un coinvolgimento emotivo con puntelli di vario tipo - filmati, musica, raccolta di immagini o oggetti, sapori-  che gli facciano ri-vivere l’ esperienza o l’evento da non dimenticare.
La stessa scuola può trasformarsi in un luogo della memoria. Come? Aprendo gli archivi. Recuperando i testimoni, cercandoli tra gli ex alunni, gli ex- docenti. Creando eventi.
Molte scuole portano in sé i segni degli avvenimenti più significativi del Novecento (dalle adunate fasciste ai bombardamenti, dalle contestazioni studentesche alle stragi mafiose) e possono diventare veri e propri musei aperti alla cittadinanza e al territorio.
La finalità di tali iniziative è prima di tutto l’educazione del cittadino. Accanto alla dimensione educativa, però, si può collocare anche la dimensione didattica, a patto però che una tale attività sia progettata con scrupolosa attenzione, non solo all’aspetto comunicativo, ma anche, e prima di tutto, all’aspetto storiografico. Perciò, un luogo deve essere sottoposto a critica, proprio come si fa con qualunque altra fonte storiografica. La presenza di testimoni è al contempo una grande ricchezza e una grande sfida. I racconti possono, infatti, essere conflittuali e contraddittori, tenderanno a singolarizzare la storia, laddove lo storico cerca la generalizzazione. Gli eventi narrati saranno influenzati dal punto di vista e dal significato stesso che si attribuisce alla rievocazione, aspetto, questo, che non deve spaventarci, ma che può diventare di estrema utilità se si voglia riflettere sull’uso pubblico della storia ai giorni nostri, stimolando riflessioni significative negli studenti più grandi[1]

3. La memoria ai tempi di Facebook.
Voglio analizzare adesso il rapporto che intercorre tra Social Network e memoria. E, di rimando, tra Social e nuove generazioni.
Immediatamente emerge un atteggiamento contradditorio, dissociato: da un lato, il progresso corre veloce e ci smemora - felici; dall’altro ci si sprona, con fare piuttosto impositivo, a ricordare. A moltiplicare le occasioni di rievocazione ingenua (feste a tema sugli anni Settanta Ottanta Novanta), rubriche strappalacrime (essere stati bambini negli anni Settanta, Ottanta, Novanta; giochi anni Settanta Ottanta Novanta; quadernini del passato e così via) e i facili festival della nostalgia.
Se ci spostiamo nell’ambito personale, ci accorgiamo che l’incongruenza persiste.
Lo slancio verso il nuovo ci spinge ad abbracciare, più o meno con criterio, i ritrovati della tecnologia e ad apprezzare i traguardi che, grazie ad essa, riusciamo a raggiungere. Non cambieremmo la macchina fotocopiatrice con la carta copiativa o un PC di oggi con uno di dieci anni fa e siamo profondamente immersi nel flusso dei consumi, per cui sappiamo che fra pochi anni (mesi?? giorni??) avremo un nuovo televisore, un nuovo telefonino, un nuovo computer e così via. 
Che le cose passino non ci disturba molto. Se però ci rendiamo conto che la stessa sorte potrebbe colpire anche noi, allora tremiamo. Ed eccoci intenti a lasciare un segno, a cercare non solo di essere notati dai contemporanei, ma anche di essere ricordati dai posteri. Abbiamo voglia di conservare la memoria di noi stessi e del nostro piccolo mondo, della comunità a cui apparteniamo, degli eventi che abbiamo vissuto, delle mode che abbiamo assecondato, di ciò che ci è appartenuto.
Fioriscono su Internet le pagine personali. Blog. Profili. Archivi fotografici. Tutto più o meno in chiave social, ossia con possibilità di scambio e condivisione. Sembrerebbe, quindi, che la memoria abbia trovato nuovi spazi, il nostro personale monumento.
Un indizio: la dimensione narrativa, che ha di necessità uno sviluppo verticale e non orizzontale, si è progressivamente imposta su quella della simultaneità. Si spiega così il passaggio compiuto da Facebook da poco più di un paio d’anni nella sua organizzazione complessiva. Le bacheche (luogo di stratificazione caotica su cui la simultaneità predomina rispetto alla cronologia) si sono trasformate in diari in cui, come in un blog, è possibile con facilità recuperare post e fotografie del passato, testimonianze cronologicamente collocate che disegnano la nostra storia personale; i post hanno perciò preso nome di eventi (caricandosi di importanza e caricandoci di responsabilità), alcuni dei quali possono essere messi in rilievo con apposita funzione; le informazioni personali, se completate, ci allineano un curriculum che, volendo, potremmo mettere sotto gli occhi di tutti.

Non è finita qui. Per festeggiare il suoi primi 10 anni Facebook ha voluto celebrare se stesso titillando proprio questo narcisismo memoriale comune tra i suoi utenti, regalando loro un video che, nella durata di un minuto e sotto le note struggenti di un pianoforte mèlo, lasciava scorrere la storia condensata di ciascuno, affastellando fotografie - alcune vecchissime, altre recenti - eventi, commenti, in una sorta di Bignami o di museo di sé. Il criterio di selezione è stato quello che ha più senso in un Social: il numero. Il numero delle interazioni. Il numero dei mi piace. Il numero (forse) delle visualizzazioni personali.
In questa sua nuova veste, la memoria diventa una mera somma e la selezione delle fonti più significativr, che è operazione fondamentale per uno storico, solo un fatto di numeri. Tra gli “eventi” importanti della nostra vita-social troviamo matrimoni, nascite, compleanni accanto a momenti apparentemente sottratti all’oblio da considerazioni demenziali che (naturalmente) abbiamo dimenticato ma che, a suo tempo, avevano mosso moltissime iterazioni, indipendentemente dalla loro pregnanza concettuale, anzi, molto spesso altrettanto ottuse (ah ah ah, iiiih, lol, cxxxxo! Bello! J  L :O e tutto il corredo di cuori e picche). Video del genere si sono ripetuti a migliaia. E ci hanno illuso. La nostra memoria individuale (parziale, deformata, idealizzata e contraddittoria) si è persa all’interno di un oceano di altrettanto parziali memorie, scomparendo e azzerandosi.
Insomma, anche se Google+, il Social firmato Google, spingendoci a compilare un profilo di presentazione, ci chiede di raccontare le nostre GESTA (?) , al più saremo (e siamo!) parte di una serie. Non lasceremo, nella quasi totalità dei casi, un monumentum aere perennius, ma informazioni che, se mai dovessero durare, non sarà possibile distinguere, recuperare, discriminare.
Perciò, se è vero che la Rete sembra moltiplicare gli archivi e le memorie, di fatto, la memoria (evito la maiuscola, ma vorrei che se ne conservasse il peso senza la retorica) si sta svuotando del suo senso più profondo, ossia lasciare un segno che possa essere ritrovato. Se, infatti, il mio segno è un punto fra milioni di migliaia di punti, la statistica mi dice che quel segno è come se non ci fosse affatto. 

In una tale moltiplicazione di dati, eccovi delle domande (che bello sarebbe leggere una pioggia di risposte!)
  • Qual è la memoria che sarà necessario conservare?
  • E quali sono i mezzi davvero efficaci?
  • E perché ancora oggi consideriamo importante questa sfida?
  • Che ruolo occupa la scuola in tutto questo e come si concilia la dimensione 2.0, tutta lanciata verso il futuro, con la tradizione e la conservazione?
  • E se è vero che si può fare storia senza la memoria, possiamo fare a meno della memoria?
È una domanda, quest’ultima, che rivolgo soprattutto agli storici di professione, agli insegnanti e agli studenti di storia, agli appassionati, ai curiosi, agli affetti da narcisismo memoriale – che temono di smemorarsi, e si smemorano quotidianamente!

Cerchiamo memorie e testimonianze di mestieri, giochi, abitudini perdute








[1] M.Gigli M.L. Marescalchi, Il laboratorio nei luoghi e con i testimoni in Didattica della Storia a cura di P. Bernardi, 2006, pp. 197-199; G. De Luna, La passione e la ragione. Il mestiere dello storico contemporaneo, 2004

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